Il Signore Genovese…

Padre Albert torna con un suo inedito racconto dedicato al Madagascar e alla sue gente. E, soprattutto, ancora una volta come solo lui sa fare, con una bella lezione di vita…

di Padre Albert Rainiherinoro

  

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Una notizia saputa dai Monteventosiani non tarda mai a diffondersi. In brevissimo tempo la riva del lago della Meraviglia fu gremita di gente proveniente da tutta la contrada. Infatti tutti accorsero appena saputa la notizia della venuta imminente del Signor Sacrabocca, un noto guaritore, originario di Montevidente.

Tante persone avevano ritrovato la salute dopo l’intervento del Signor Sacrabocca, che aveva fatto bere loro prima una pozione composta da acqua del lago e da una foglia ignota macerata, per poi imporre loro le mani. Meravigliate del suo potere le persone, seppure guarite, rimasero ancora a guardare. Ormai cominciava a fare sera e anche il Signor Sacrabocca sentiva di aver fame. Infatti stava già lí dall’inizio del mattino. Così non potè fare a meno di chiedere alla gente: «Per favore, siamo ancora lontani dalla città ma io ho una fame da lupo; avete qualcosa da mangiare?». La gente era sprovvista di cibo, quindi risposero di no. Invece il Signor Genovese, uno dei beneficiari del guaritore, aveva ancora quattro uova sode dentro il sacchetto, ma faceva finta di non aver sentito nulla e diceva tra sé “Hai fame, ma anch’io sono affamato. Quindi, devi scusarmi, ma la carità ben ordinata comincia da sé stessi”.
«Signore, il mio babbo, ha delle uo…!» tentava di esclamare il piccolo Franco, figlio del Signor Genovese. A causa dello sguardo minaccioso del padre però non riuscì nemmeno a terminare la frase!
«Non fa niente se non avete nulla da dare! Cercherò di resistere. Però, prima di congedarvi vorrei darvi la mia benedizione. » Diceva il Signor Sacrabocca.
Tutti si chinarono mentre il guaritore li aspergeva con l’acqua. Improvvisamente le uova cotte cominciarono a squarciarsi nel sacchetto del Signor Genovese, che si incuriosì nel vedere l’accaduto. Appena aperto il sacchetto, quattro grandi uccelli spiccarono il volo beccandogli gli orecchi e la pancia. Come un coro questi uccelli fecero sentire la loro voce: « Becchiamolo! Becchiamolo!»

Più che il dolore il Signor Genivese si sentiva di aver fatto una figuraccia quindi disperato si buttò nel lago. Era sul punto di affogare. Per fortuna alcuni uomini sapevano nuotare quindi fu soccorso in tempo. Si salvò, ma non era del tutto sano perché la sua malattia si aggravò: infatti inizialmente aveva male ad una gamba sola, ora entrambe le gambe erano ammalate. Chiunque lo vedeva girava la testa balbettando: «E’ messo male, poverino!». Dovettero trasportarlo per arrivare a casa sua.
La prima cosa che fece fu di radunare i suoi per dire: «D’ora in poi, è vietato per la nostra famiglia e tutti i nostri discendenti di mangiare uova!».

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Il Signor Genovese smise davvero di mangiare uova. Un giorno però sua moglie era assente; il piccolo Franco doveva preparargli da mangiare quindi gli servì delle uova. Il Signor Genovese stava per arrabbiarsi ma Franco lo anticipò: « Babbo, se dovessi vietarti qualcosa sarebbe meglio vietarti di essere tirchio e ingrato, non di mangiare le uova! Non ho mai smesso di mangiarne da quando hai promulgato il divieto ma come vedi non ho niente, anzi godo di buona salute. Anche tu starai meglio se le mangi!». Il Signor Genovese mangiò suo malgrado ciò che gli era stato preparato. Capendo però che non gli succedeva nulla, tossì chiedendo: «Koh! Koh! Franco, oggi tu padre ha un appetito migliore del solito, quindi fammi ancora per piacere un po’ di frittata!».

Il piccolo fece come da lui chiesto. Appena finito di mangiare, il figlio si rivolse al padre in questi termine: «Babbo! Non hai mai pensato di chiedere scusa dal Signor Sacrabocca? Un tuo benefattore si trovava nel bisogno, ma invece di aiutarlo hai fatto l’indiano, anche se eri in grado di aiutarlo?!», ma subito lui lo fece tacere «A me, tuo padre, tu fai la predica?! Stai zitto! Se volessi sentire l’omelia sarei andato in chiesa! Io sono una persona adulta quindi so come devo comportarmi! Chi sei tu piccolo moccioso per dirmi quali cose devo fare e quali no. Credi che il mio essere paralizzato ti dia il diritto di comandarmi?! Vattene, non ho bisogno di te…!».
Franco non voleva bisticciare, quindi lasciò perdere.
Poco dopo però, suo padre lo chiamò:
«Franco! Franco!»
«Cosa c’è, Babbo!»
«Potresti sparecchiare perché ho finito di mangiare. E non dimenticare di farmi un po’ di caffè perché ho un po’ mal di testa!»
Il piccolo Franco eseguì tutto senza indugio.

Non si sa se fu a causa dalla pressione o della forte dose di caffè oppure del fatto che era pensieroso, fatto stà che il Signor Genovese non riuscì a chiudere occhi per tre giorni e tre notti. Allora decise di inviare il suo fratello dal Signor Sacrabocca per chiedergli venia.
Il fratello eseguì subito l’ordine ma non mancò di riferire le raccomandazioni fatte dal Signor Sacrabocca: «Ho perdonato il Signor Genovese, ma affinché guarisca definitivamente ha l’obbligo di donare un uovo come elemosina al barbone tutte le volte che quest’ultimo busserà alla sua porta. Dovrà fare questo fino alla sua provata guarigione sennò rischierà senz’altro di morire!».
Come detto, ogni giorno un barbone non mancò di venire a chiedere l’elemosina dal Signore Genovese. Ciò nonostante, era sempre in grado di procurargli un uovo senza privarsene lui stesso. Il suo stato di salute migliorava sempre anche se zoppicando doveva ancora utilizzare un bastone.

Un giorno però, non avendo a disposizione che un solo uovo, il Signor Genovese ebbe un dilemma vedendo che il barbone non mancava all’appuntamento: «Se gli darò quest’uovo cosa rimarrà per me? Sennò…». Mentre stava tentennando gli ritornò in mente improvvisamente ciò che era avvenuto quel giorno al lago delle Meraviglie. Anzi, riuscì pure a sentire il rumore delle uova che si spaccavano, poi la voce corale degli uccelli: « Becchiamolo! Becchiamolo!». A quel punto, lui, ancora in imbarazzo, non ci pensò due volte e prese l’unico uovo che gli era rimasto per darlo al barbone. Dopo avergli dato l’uovo il Signor Genovese sentì rinvigorire le sue gambe e poté persino saltellare come un giovanotto.
«Non ci credo proprio!» Gridava a squarciagola il Signor Genovese. Talmente era contento che improvvisò un passo di danza, e non avrebbe più smesso se non fosse stato per la stanchezza. Pieno di gioia non si accorse nemmeno del barbone che si era tolto il suo travestimento. Vedendo l’accaduto, Franco interpellò suo padre: «Babbo! Saluta e ringrazia il tuo benefattore per non cacciarti di nuovo nei guai!». Il Signor Genovese guardò con stupore il barbone smascherato: «Signore mio! Era Lei Signor Sacrabocca, quello che si era travestito da barbone ed è venuto ogni giorno da me! La saluto e voglia ricevere la mia gratitudine. Rinnovo ancora la mia domanda di perdono per la mia avarizia e la mia ingratitudine!». « Sì, Signor Genovese, sono proprio io! Credo che tu abbia saputo imparare la lezione da ciò che è avvenuto. Quindi ti chiedo di trasmettere la lezione ai tuoi discendenti. Addio!!! »

Il Signor Genovese avrebbe voluto ancora tendergli la mano, ma il Signor Sacrabocca scomparve improvvisamente diventando così a lui invisibile.

P. RAINIHERINORO ALBERT

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