Emergenza notturna nella brousse

Vi racconto questo episodio successo a Mahasoa, perchè mi ha dato una scossa adrenalinica! Ho provato sulla mia pelle cosa significhi fare la rasazy (l’ostetrica) nella brousse, che emozione!

di Laura Lasagni

 


Dal mio diario di viaggio del 12 Febbraio 2015:

Tornati a casa andiamo in cappella per la messa.. ma dopo il canto di inizio Elisa mi chiama fuori: c’è un’emergenza, dobbiamo portare una donna “che sta molto male” all’ospedale di Ihosy. Prendo la borsa con quello che mi può servire, comprese due barrette energetiche.. non si sa a che ora torneremo! Andiamo io, Feno (l’ostetrica), suor Jean d’Arc (infermiera) e l’autista. La donna è ancora a casa sua, la andiamo a prendere con il pullmino delle suore, qui non ci sono le ambulanze. Nel tragitto verso casa sua, suor Jean d’Arc mi spiega tutto: la ragazza ha circa 25 anni ed ha un’emorragia interna. Lei l’ha visitata prima e aveva un forte dolore alla pancia, la pressione bassissima (50<40!) ed era anemica. Probabilmente è una gravidanza extrauterina.

emergenza-notturnaIl sole sta calando. Arriviamo davanti ad alcune case di fango e paglia. Alcune persone ci aspettano lì fuori e ci conducono dalla donna. Entriamo in una casetta piccola, fatta di un’unica stanza. C’è completamente buio dentro, filtra solo un po’ di luce dalla porta d’ingresso. Alcune persone sono sedute per terra con dei bambini. La ragazza è sdraiata su un materasso. Per prima cosa dobbiamo idratarla con una flebo per farle aumentare la pressione, ma con questo buio è impossibile prenderle la vena. Ci portano una torcia con cui illumino il campo d’azione a Feno e a suor Jean d’Arc. Usano un guanto come laccio emostatico. Le vene sono piccolissime, trovarne una adatta è molto difficile. Suor Jean d’Arc appende la flebo al filo per stendere che attraversa la stanza da una parete all’altra. Sul muro di fronte a me si disegna l’ombra della flebo, illuminata dalla torcia. Tanti occhi curiosi ci fissano dal buio. La ragazza non è in grado di alzarsi in piedi, inizia a mostrare i primi segni di shock. Tre uomini la prendono in braccio e la portano in macchina. Tutti vorrebbero salire per accompagnarla, ma non ci stiamo! Io e l’autista davanti, Feno, suor Jean d’Arc e altre due persone nei sedili posteriori e in 4 nel bagagliaio che sorreggono la ragazza, sdraiata su di loro. Si chiama Odil e ha 27 anni. Le dico qualche parola di conforto e lei mi sorride. Mentre saliamo in macchina si radunano intorno a noi circa 50 persone, arrivate dalle case vicine per guardare. Sul tetto della macchina vengono issate alcune borse con il necessario per l’ospedale e i viveri per alcuni giorni per le persone che la accompagnano. Il sole è tramontato, ci inoltriamo nella brousse; la strada che si apre tra l’erba alta è illuminata solo dai fari dell’auto, intorno a noi il nulla. Non possiamo andare troppo forte perchè Odil sta male, ha la nausea ed ha ancora la flebo, che abbiamo appeso ad un gancio vicino al finestrino.

Arriviamo in ospedale dopo due ore. Questo ospedale non mi piace per niente. Vedo la stanza di ingresso con 3 letti, una sorta di astanteria. È sporco e decadente, i letti in ferro arrugginito. In uno dei tre letti c’è una donna sdraiata, sotto le coperte che urla come una matta frasi prive di senso: è ubriaca. Qui sono tanti gli ubriachi, l’alcol è un vero problema. Il medico conferma la nostra diagnosi con l’ecografia: gravidanza extrauterina. La opereranno subito.
Mentre la suora e l’ostetrica parlano col medico vedo arrivare in ospedale una camionetta carica di gendarmi armati fino al collo! Scendono in 10, ognuno ha due fucili e una pistola. Sono vestiti con tuta mimetica e stivali neri. Mi fanno paura! Sussurro nell’orecchio a Jacklin, l’autista, “mataotra!” (paura!). Portano un gendarme ferito da arma da fuoco alla gamba e al braccio. C’è stata una sparatoria tra dahalo (briganti, ladri di bestiame) e gendarmi a Betroka, a 100 km da qui, ma questo è l’ospedale più vicino! Nella sparatoria sono morti 3 gendarmi e lui è rimasto ferito; i dahalo erano tantissimi. Prima di ripartire salutiamo Odil: ha le congiuntive bianche, le stringo la mano, è fredda. Le auguro mirary soa (buona fortuna) e mi sorride. Domani chiameremo il medico per sapere com’è andata l’operazione.
Torniamo a casa a mezzanotte e mezza e busso alla camera di Elisa per rassicurarla, era un po’ in apprensione nel pensarmi immersa nella brousse nel cuore della notte: sono rientrata sana e salva e… con una bella avventura da raccontare!

Rasazy Laura
Ostetrica Feno, Infermiera suor Jean d’Arc e Ostetrica Laura


 

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